Lasciando la strada che porta ad Urbino, superato Cappone, a sinistra un cartello azzurro  indica Coldelce. Ma non sono in molti a cercarlo. Neppure la gente del posto sceglie mai questa strada che arriva a 320 m. di altezza per fare una passeggiata o portare i bambini  in un luogo di natura. La strada si inerpica in modo tortuoso e mano a mano la vegetazione è così fitta che non si può godere del panorama intorno. Ma non era così un tempo. 

Si incontrano pochissime case e questo invece è il paesaggio che Serra di Genga e Coldelce vivono ormai da tanto tempo. Lo  spopolamento è stato precoce rispetto a quello in altri luoghi del territorio, che è avvenuto nel dopoguerra. Infatti il momento di grande prosperità fu quello del duca Federico nel XV sec e nel corso del XVI sec Coldelce raggiunge il massimo della popolazione, circa 174 maschi e 174  femmine. Ma nel 1600 le carestie e il passaggio del territorio allo Stato Ecclesiastico dopo la morte dell’ultimo duca di Urbino, Francesco Maria II Della Rovere, portarono ad un calo repentino della popolazione, alla fine di tante attività artigianali e alla spartizione di piccole proprietà terriere in grandi latifondi.

 Ad arricchirsi furono le grandi famiglie e il clero, a impoverirsi la popolazione. Nelle terre sopra il torrente Apsa, che incontra il fiume Foglia nelle campagne di Montelabbate, la vita dei contadini divenne particolarmente  dura e il desiderio di  aggregazione ha dovuto cedere alla difficoltà di vivere lontani dalle vie di comunicazione.

Nelle terre di Serra di Genga e di Coldelce secoli fa c’erano tre castelli, sette chiese e due ospedali. C’era una comunità che ha cercato di aggregarsi dentro le mura dei castelli e in borghi attigui per trovare   una sistemazione semplice e sicura. Ma i castelli sono svaniti presto e così le chiese e gli ospedali e i borghi, e la gente che ha vissuto in case sparse si è poi spostata più a valle. Così, il territorio è stato scelto solo da chi voleva allontanarsi  dagli sguardi altrui, come i componenti    della banda Grossi, che  nell’ottocento trovavano qui  riparo  dagli inseguimenti di chi cercava di arrestarli e poi da cacciatori, cercatori di funghi, appassionati di bici o grandi camminatori.

Ora chi abitava qui  fino al dopoguerra vive più in basso, vicino alla strada montelabbatese, che nel nostro immaginario ha preso il posto del fiume Foglia come spartiacque e collegamento tra Pesaro e Urbino. Rimangono sempre meno ricordi, sempre più scarne testimonianze, e il paesaggio si è completamente trasformato.